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Martedì, 07 Maggio 2024

  

  

  

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Don Dante Bruno, una vita per gli altri

A Cosenza, con la “Città del Sole”, a Colle Mussano; nella provincia, a Spezzano Albanese, Torano Castello, Carolei e San Benedetto Ullano; all’estero, in Perù, Brasile e Nigeria, con le comunità residenziali e le case-famiglia, prosegue il grande impegno del sacerdote consacrato ad assistere i più deboli e favorire il loro reinserimento sociale e lavorativo.

Nella vita di tanti studenti, alcuni insegnanti rivestono un ruolo che viene individuato come fondamentale, perché da questi hanno appreso le regole, hanno ricevuto il coraggio per affermare le proprie idee e le proprie vocazioni, per seguire i propri sogni e costruire la propria autostima. Non si tratta, infatti, solo di un travaso di nozioni, ma soprattutto di emozioni, esperienze che restano indelebili nella memoria e che riescono a mettere miracolosamente, è il caso di dirlo, in “connessione”, persone lontane per età, credenze, obiettivi. 

Ho conosciuto don Dante Bruno grazie alla mia insegnante di italiano e latino delle scuole medie, Marisa D’Alessandro, ma dovrei dire, la “nostra” insegnante, perché il trait d’union è stata proprio lei, che ha attivato questo flusso di parole ed emozioni. Un’insegnante che ha sempre espresso senza remore i suoi sentimenti, sensibile ai problemi sociali, mai conformista, che mi ha fatto sentire come un atleta ai blocchi di partenza: pronta per andare. 

Anche Dante Bruno ha ricercato la nostra comune insegnante a cui riconosce il merito di averlo aiutato, come altre figure educatrici, a costruire quella cultura del rispetto e della solidarietà contrapposta a quella dell’egoismo, e che gli ha permesso di realizzare quella vocazione che a piccoli passi è diventata realtà. La casualità (ma Don Bruno direbbe la Provvidenza) ha voluto che la professoressa D’Alessandro stesse attraversando un momento difficile del suo “scampolo di vita” e che questo incontro abbia rimesso in moto in lei energie e speranze.

Dante è nato a Longobardi (CS) e, per sua ammissione, non è stato un ragazzo felice durante il periodo scolastico. Le condizioni economiche familiari; i 14 figli, di questi due gemelli morti appena nati; il doloroso ricordo della morte del padre a causa dello scoppio di una bombola di gas, un padre miscredente, che aveva continui alterchi con la moglie perché faceva credito a bottega a persone povere almeno quanto lo erano loro; la madre che per prima ha saputo e gelosamente custodito il segreto che il figlio le aveva comunicato sulla volontà di diventare sacerdote; sono i tratti del suo racconto, di una vita fatta di fatica e impegno, del mondo interiore di un ragazzo che, chiamato da Dio, per vivere in coerenza e libertà, si mette al servizio degli altri, si pone in ascolto ed aiuto del prossimo, sull’esempio materno. 

Il suo percorso verso il sacerdozio venne scoraggiato da chi gli era vicino e che auspicava per lui un altro stile di vita, certamente materialista; ma quel vuoto interiore che Dante sentiva, riusciva a colmarlo solo attraverso la preghiera, tanto da fagli dire che avrebbe vissuto da disperato e infelice se non avesse seguito la sua vocazione. “Ho vissuto le mie sofferenze, non sapevo cosa fosse la felicità, ed ero disilluso rispetto alle cose terrene. Non è stato facile, ma la Fede mi ha fatto recuperare tutto, ho visto una mano misericordiosa e un amore infinito che parla al nostro cuore, che ci chiede solo di dare un po’ di tempo a Dio”.

Del resto, perché molti di noi non si stupiscono se il proprio figlio vuole diventare medico oppure ingegnere, seguendo questa inclinazione di studi, ed anzi lo sostengono con determinazione e gioia, mentre è grande lo sconcerto nel sentirsi dire “voglio diventare prete”, frase a cui spesso si risponde con durezza, giudicando in modo negativo questa scelta?

Non discriminare nessuno, amare i più fragili, i più poveri, i più deboli, considerandosi l’ultimo degli ultimi: queste convinzioni, cresciute nel corso del sacerdozio di Dante, la cui consacrazione risale al 1978, hanno trasformato quel timido e tormentato giovane, nell’uomo che ho intervistato presso la Città del Sole, a Colle Mussano, nei pressi di Cosenza. Un centro di assistenza primo e unico in Calabria, che accoglie e ospita persone in difficoltà. Ospite anche io per un giorno, insieme alla nostra ex professoressa e due amici, in una giornata fredda e piovosa, che alla fine ci ha regalato un meraviglioso arcobaleno: è comparso un “ponte” fra cielo e terra.

Con lo stesso nome della grande opera filosofica del domenicano calabrese Tommaso Campanella, in cui si ravvedono rilevanti similitudini (come la posizione collinare con la sua chiesa posta sulla sommità, la mensa comune, il riconoscimento del valore delle persone in quanto tali) questa struttura fornisce sostegno e supporto umano a persone sprofondate nel baratro, a cui manca tutto, che pensano di non farcela e che aspettano una parola di conforto.

La Città del Sole è un borgo per la cui realizzazione sono stati necessari circa 20 anni e aiuti consistenti da parte delle Istituzioni che ne hanno sempre riconosciuto l’alta rilevanza sociale, perché le singole persone richiedono anche cure fatte di ascolto, relazione e umanità. Attualmente sono 4 i complessi già costruiti, uno di questi è composto da 13 mini appartamento per coppie e famiglie in difficoltà con figli minorenni, dove sono presenti varie forme di povertà, non solo quella economica, ma anche quella causata dalle modificate condizioni lavorative a seguito della pandemia, quella sanitaria.

Un villaggio nato con una piccola casa fatiscente, prima casa di accoglienza che Don Dante ha ribattezzato “Casa del grande amore” e che prese forma dopo la posa della prima pietra da parte di Giovanni Paolo II, per quella che inizialmente doveva essere solo una cappella, e che ora, nel suo bianco splendore, è centro di adorazione su uno dei 7 colli – come Roma – su cui sorge la città di Cosenza, visibile quanto il famoso ponte di Calatrava più a valle. Alla mia domanda “Come sostieni tutto questo?”, Don Bruno risponde “Grazie alla Provvidenza!”. Oltre agli enti istituzionali, sono le persone comuni che sostengono questa comunità collegandosi facendo donazioni in termini di tempo o denaro (il sito https://www.associazionereginapacis.org/citta-del-sole-unoasi-di-carita/).

Nella Città del Sole ho stretto la mano a tanti ospiti in quel momento presenti nella struttura. Ho condiviso con loro il pranzo preparato da una donna ucraina del Donbas che si sente filo-russa. Mi sono seduta accanto ad una donna che viveva per strada e che chiede solo amore. Ho parlato con un uomo affetto da ludopatia, con chi è stato in carcere, chi ha dipendenze dalla droga, dall’alcol, con una giovane che sogna di fare la giornalista e che mi ha chiesto di leggere i suoi scritti non appena ci vedremo la prossima volta. E allora ho capito che non basta stringere una mano per sentirsi solidali, se prima non superiamo le nostre ipotesi preconcette, non ci immergiamo in quelle realtà che ci spaventano.

Don Dante mi racconta che la forza per realizzare questo progetto l’ha ricevuta di ritorno dal suo pellegrinaggio a Medjugorie. Ha iniziato a ricevere numerose richieste di aiuto da varie persone “Io, prima, non avrei mai accolto estranei in casa. Mi dicevo… io accoglierei un tossico, un delinquente? No! Perché ti rubano tutto. Invece, mi sono accorto di avere quella che chiamiamo Grazia di stato, un dono, che mi consentiva di non avere paura di accogliere tutte quelle persone che chiedevano aiuto”.

Storie di uomini e donne, di persone inutili secondo il pensare comune della società, che ripartono, trovando qui le proprie motivazioni grazie a Don Dante Bruno, e riscrivono la loro esistenza perché non si arrendono, perché rivendicano il loro diritto a vivere, perché sanno che da soli è impossibile superare lo sconforto, l’emarginazione, la mancanza di amore. E che si ritrovano qui, in una struttura con 75 posti letto, base sicura di riferimento, che si occupa e si preoccupa per loro, compiendo quella vera integrazione in quella unica Famiglia Umana a cui tutti apparteniamo.

Riassumere i quasi 40 anni di attività che Don Dante ha dedicato ai poveri, ai deboli, è pressoché impossibile: l’idea complessiva che ho di lui è quella di un globetrotter che fa la spola fra l’essere uomo di Dio e fratello tra fratelli. Ed è quello che lui dichiara quando dice “vorrei essere un ponte, perché avvenga quella riconciliazione fra ciò che è sacro e la secolarizzazione”.

Nel 1985 fonda l’Associazione Regina Pacis, divenuta Associazione onlus nel 1998, che oggi gestisce 3 Comunità Residenziali in provincia di Cosenza, a Spezzano Albanese, Torano Castello e San Benedetto Ullano, per il recupero dalle dipendenze, e 2 Case-Famiglia a Carolei e San Benedetto Ullano, in cui trovano ospitalità donne in difficoltà, ragazze madri. E sono tutte donne le direttrici delle cinque strutture, che svolgono il loro lavoro con tenacia e dedizione.

Circa 40 operatori, in un approccio olistico, eseguono attività di recupero terapeutico finalizzate al reinserimento sociale e lavorativo, con un programma che ha una durata media di 24 mesi e che è basato sulla laboriosità, l’obbedienza alle regole e la preghiera.

E poi ci sono i progetti in Perù, Brasile, Nigeria con la Fondazione Spezza il Pane, creata da Don Dante per portare aiuto nei paesi più poveri del mondo.

“Ma come fai a seguire tutto questo? gli chiedo. Mi risponde: “Sono chiamato ad agire, non posso stare fermo perché ci sono persone che mi aspettano nelle comunità. C’è tanto lavoro da gestire e l’unico momento di riposo è dato dalla preghiera in cui sento crescere la gioia. Bisogna pregare col cuore, fidandosi”.

Don Dante non è certo solo, ci sono anime che lo affiancano e sostengono. Una faceva il volontariato a Gerusalemme, siriano, ha vissuto in Libano dove svolgeva il suo lavoro di fisioterapista e tramite la Chiesa è riuscito ad arrivare a Roma accolto presso la comunità di Sant’Egidio. Da ormai 5 anni vive nella Città del Sole, dove c’è un italofrancese, che segue il suo percorso verso il sacerdozio, vocazione che ha capito di avere nel 2012. “L’ho capito subito che ero pronto” mi dice. “Sei felice?” gli chiedo io. “Sì, sono felice! Anche se non sono ancora sacerdote”.

Una vita come tante, da bambino vivace, adolescente segnato dal lutto della morte del fratello ventiseienne, la laurea, il lavoro come vigile del fuoco a Parigi, le fidanzate, e poi con la consapevolezza di dover fare altro, inizia un’altra vita entrando in seminario, per dare un senso vero alla propria esistenza. In fondo è il cambiamento che mette insieme le persone, e le relazioni cambiano i soggetti. Un circolo virtuoso, messo in moto da azioni di volontariato, che siano laiche o confessionali, ci ricordano che la creazione di questi beni relazionali ha la capacità di produrre un cambiamento stabile all’interno dei contesti sociali, di costruire ponti di collaborazione, soprattutto se questo avviene in una terra, quella calabrese, dove la solidarietà è ancora un valore.

Don Dante Bruno e quel meraviglioso arcobaleno, simbolo di Pace e di ritrovata alleanza fra Dio e gli uomini, spuntato in una giornata uggiosa sulla Città del Sole, mi hanno trasmesso il senso di quella ricerca che tutti facciamo nel percorso lungo e complicato che è la vita. E riprendo le parole scritte dalla nostra professoressa Marisa “Sono le emozioni che non dobbiamo stancarci di cercare nelle nostre esistenze se vogliamo raccontare una storia diversa. Se vogliamo raccontare la storia della nostra vita passata, dobbiamo aprire il cuore, spaccarlo in due, e cercare di dipingere i sogni, le passioni, le lotte, gli amori, gli affetti, le ingiustizie, le delusioni, che lo hanno occupato e che, con forza prepotente, reclamano di uscire fuori, per dire quello che noi siamo, ciò che siamo diventati nel corso degli anni. È dalle nostre emozioni che derivano le nostre intuizioni e quel coraggio di scegliere che neppure ci immaginiamo di avere, ma che poi elaboriamo nelle relazioni affettive…”.

 

Fonte: Calabria Mundi - di Anna Morabito

 

 

 

 

 

 

 

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